venerdì 11 marzo 2011

La torta sulla guagua

Era salito ad Alamar. Uno sfuffo di polvere, l'annuncio di una frenata ferrosa. Sulla guagua diretta a Guanabo mancava solo quel tipo. L'ultima goccia di sudore umano per chiudere il cerchio. Ha sfilato di tasca la monetina e l'ha fatta scivolare nella mano dell'autista. Poi si è sistemato come un soldatino di piombo nell'unico spazio disponibile del pullman. Reggeva un trabiccolo di cartone, poco più largo di un mattone, su cui oscillava la più grande fetta di torta che avessi mai visto. Il suo braccio, come un tentacolo brunito, sfidava il groviglio di altri arti cotti dal sole, riuscendo miracolosamente a trovare un pertugio in cui far sopravvivere la sua torta. In bilico su quel piattino improvvisato fatto con un pezzo di cartone rubato chissà dove, la fetta riusciva a mantenere l'aspetto originario. La immaginai sul tavolo del pasticcere, invece la vedevo lì. Troneggiava fra una frenata e l'altra, inappuntabile con le sue cremine colorate, gli strati di marmellata nel pandispasgna. Una torre di dolcezza, nel marasma di una guagua affollata di cubani diretti alla playa. Sembrava un uccello tropicale fantastico e misterioso che esigeva rispetto e distanza. Nessuno l'ha sfiorata, nessuno ha sorriso: era solo una fetta di torta in viaggio verso un sorriso.

sabato 5 febbraio 2011

Per viaggiare davvero i viaggiatori non devono avere
nulla da perdere. Ma neanche da cercare. Sono queste
le idee che ho in testa mentre la guagua svolta
sotto le nubi che avvolgono il picco della montagna.
La corriera scende lungo i tornanti avvolta da
scrosci d’acqua che fumano, per l’umidità, con l’effetto
di un bagno turco.
Baracoa è laggiù, schiacciata nella mezzaluna
della baia, in fond

o alla montagna. Un nome che mi
fa pensare al tronco di una pianta misteriosa, invisibile
e notturna, che galleggia in mezzo a un mare
placido e sconosciuto. (da ''Le cere di Baracoa'', ed. Mursia 2009)