sabato 5 gennaio 2013

Il sillabario cubano di Barilli (da EUROPA)

13 OTTOBRE 2012 La Cuba di Davide Barilli è la Cuba che tutti noi, da qui, vorremmo cercare di capire seriamente. È una Cuba che non perde un briciolo della magia e dei colori in cui siamo abituati a immaginarla immersa, ma spogliata in tutto e per tutto della retorica che bene o male la maltratta e la snatura, agli occhi dell’opinione pubblica internazionale, da mezzo secolo a questa parte. Castrismo, anticastrismo, Revolución, Yoani Sánchez: non aspettatevi niente di tutto ciò. L’ultimo capitolo della storia d’amore tra lo scrittore parmigiano e l’isola caraibica ha le sembianze di un libello insolito, scritto in italiano e in castigliano, e dipinto. Si intitola La ragazza di Alamar (82 pp., 11.50 euro), e fa seguito agli altri due pubblicati da Barilli nella collana Riflessi della casa editrice Fedelo’s, Lo specchio silenzioso e Carte d’Avana. Si tratta di un racconto, né più né meno, un breve racconto in cui un uomo si innamora di una donna, o di ciò che quella donna sembra rappresentare. Allo stesso tempo, però, ci troviamo di fronte a una sorta di sillabario cubano in cui ogni snodo narrativo fa da pretesto cartografico per tracciare un pezzo di identità del paese e del suo popolo. Almendrón, Barbacoa, Cambolero, Fumigador, Herbiero: parole, significati, elementi del racconto, ognuno arricchito da un disegno opera di un altro Barilli, Francesco, regista e attore e sceneggiatore, che dell’autore del libro è il cugino. E la scrittura è melodiosa, esatta, sfrutta il privilegio della brevità per non spaventarsi di fronte alla ricchezza, e lo sfrutta al meglio. Venerdì prossimo Barilli lo presenterà a L’Avana, questo piccolo libro, alla XII Settimana della lingua italiana nel mondo, manifestazione promossa dal ministero degli esteri insieme all’Accademia della Crusca e alla Società Dante Alighieri. I cubani, naturalmente, non potranno comprarselo, ma La ragazza di Alamar finirà in tutta una serie di biblioteche e università della capitale. Ragazze e ragazzi se lo rigireranno tra le mani, pare di poterli quasi vedere, come fosse uno specchio, uno specchietto d’alto artigianato, in cui cercare la propria immagine riflessa. Un’immagine che tornerebbe molto utile conoscere anche a coloro, tra di noi, che si lasciano convincere poco dalle versioni ufficiali, che passino attraverso la stampa di regime o schiere di cibernauti, anche qualificati, propensi a facili entusiasmi e ancor più facili indignazioni. GIOVANNI DOZZINI

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